Skip to main content

Così i giganti del web ingannano sulla CO2

News nazionali
25 ottobre 2021

 

L’impatto di Internet sul riscaldamento globale non è in agenda. Eppure i cloud, ovvero i giganteschi data center dentro ai quali stanno migrando i dati di tutto il mondo, oggi assorbono l’1% della domanda globale di energia. E i consumi si traducono in emissioni. Un solo server produce in un solo anno da 1 a 5 tonnellate di CO2 equivalente, e ogni gigabyte scambiato su internet emette da 28 a 63 g di CO2 equivalente. Quasi il 20% dell’energia utilizzata da un data center è impiegata nel suo raffreddamento. Queste informazioni Google, Amazon, Apple, IBM e Microsoft non le danno. Nei loro report di sostenibilità non indicano mai l’impatto del singolo servizio. Le normative di riferimento ci sono: la ISO14064-1 e la ISO 14067, che certificano in maniera obiettiva l’impronta di carbonio di un’azienda o di un prodotto, però non sono obbligatorie, e i giganti del cloud non le usano. Delle big tech la più inquinante è Amazon: nel 2020 ha emesso 54.659.000 di tonnellate di CO2, seguono Samsung con 29 milioni e Apple con 22 milioni. Tra le multinazionali 100% web la peggiore è Google con 12,5 milioni di tonnellate di CO2. Le multinazionali hanno più volte promesso di tagliare le emissioni di gas serra per contribuire al contenimento del riscaldamento del Pianeta. Qualcosa lo hanno fatto, ma la parte più corposa riguarda il meccanismo delle compensazioni di carbonio, ovvero l’acquisto sul mercato di certificati negoziabili equivalenti ad una tonnellata di CO2 non emessa o assorbita grazie ad un progetto di tutela ambientale. Tradotto: investono in parchi fotovoltaici o eolici e piantano alberi.  

Fonte: Corriere della Sera – Milena Gabanelli (pag. 25)