Esattamente un anno dopo averlo siglato, l’Opec ha deciso ieri di estendere l’accordo sul controllo della produzione a tutto il 2018, contro una scadenza prevista inizialmente di fine marzo 2018. Prevede che la produzione rimanga sotto di 1,2 milioni barili al giorno rispetto al picco dell’ottobre 2016, vale a dire a 32,5 milioni barili per giorno. In quest’anno non solo il grado di rispetto è stato alto, ma addirittura si sono aggiunti 11 paesi non Opec, guidati dalla Russia, che hanno contribuito ad un taglio di altri 0,5 milioni. Nel complesso l’accordo ha funzionato: il Brent è risalito oltre i 63 dollari per barile, il 38% in più dei 45 dollari di un anno fa. La banca centrale del petrolio rimane l’Arabia Saudita che, nonostante tutti i nervosismi interni, nel 2017 ha tagliato più di quanto promesso, fermandosi a 10 milioni barili giorno. Le alte scorte accumulate da allora, ancora oggi a livelli record, pesano e impediscono ai prezzi di riportarsi, come nelle intenzioni, oltre i 70. Questa è la soglia a cui mira l’Arabia Saudita che, da una parte, ha bisogno di incrementare le sue entrate per finanziare le ambiziose riforme del suo giovane e irrequieto principe al trono Mohamed Bin Salman, Mbs, dall’altra, vuole prezzi stabili per garantire una domanda di petrolio in crescita nel lungo termine, in modo da evitare che le sue enormi riserve, di durata oltre i 60 anni, si tramutino troppo presto in inutili pietre nere.
Fonte: Il Sole 24 Ore – Davide Tabarelli (pag. 2)
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