Non saranno gli editti di Donald Trump, ma le leggi dell’economia a decidere il destino del carbone e degli altri combustibili fossili. È questa l’opinione prevalente nel mondo dell’energia all’indomani del colpo di spugna alle politiche ambientali negli Stati Uniti. I titoli di alcune società carbonifere si sono rafforzati, ma le quotazioni del carbone non hanno registrato grosse variazioni. I rischi diventerebbero però molto più concreti se scattasse un effetto emulazione, ossia se altri Paesi decidessero di abbandonare la lotta contro il cambiamento climatico. Il Ceo di Duke Energy Corp, Lynn Good, ha dichiarato: “Visto il prezzo competitivo del gas e la discesa dei costi delle rinnovabili continuare a tagliare le emissioni di Co2 per noi ha senso”. Quello della Duke Energy è un orientamento molto diffuso nel settore, rafforzato dal fatto che alcuni stati – come la California e lo Stato di New York – non hanno alcuna intenzione di fare passi indietro nelle politiche contro il climate change. Anzi proprio in questi giorni le hanno rafforzate. Al di là degli aspetti regolatori, le variabili chiave sono comunque da un lato il prezzo delle risorse e dall’altro il costo e il grado di sviluppo delle tecnologie; negli ultimi dieci anni nel Usa la quota del carbone è scesa del 50%, la produzione è crollata ai minimi da quarant’anni nel 2016 e dal 2011 l’industria ha perso circa 60mila addetti.
Fonte: Il Sole 24 Ore – Finanza&Mercati – Sissi Bellomo (pag.36)
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