Sebbene i prezzi del petrolio abbiano recuperato, quel che più conta è capire cosa stia succedendo dietro le quinte del mercato petrolifero. In una settimana, il greggio ha infatti perso circa il 7% del proprio valore ed è tornato sui valori dello scorso novembre, vanificando, di fatto gli sforzi di contenimento della produzione compiuti dall'Opec a partire dall'inizio dell'anno. E’ infatti dal Cartello che si deve partire. A dispetto dei molti dubbi circolati nei mesi scorsi, l'impegno di togliere dal mercato 1,2 milioni di barili al giorno da gennaio è stato nella sostanza rispettato ma il problema è che quell'accordo scade a fine giugno e il prossimo 25 maggio è già previsto un nuovo vertice per discutere di un allungamento di sei mesi dei tagli all'output. Gli analisti non sono però del tutto convinti del buon esito del summit, temono il riaffiorare delle profonde divisioni che avevano per mesi ostacolato il raggiungimento di un accordo. Va poi considerata la posizione degli altri Paesi produttori non-Opec e al comportamento che essi terranno in questa occasione. Gli esperti di JPMorgan e Citigroup prevedono che il barile possa crollare sotto i 40 dollari, cosa che non succede da oltre un anno. Ancora più pessimisti sono quegli hedge fund che la scorsa settimana hanno liquidato le posizioni long sul petrolio. Le scorte commerciali statunitensi di greggio, aumentate in 11 delle prime 12 settimane del 2017, non depongono del resto a favore di un aumento delle quotazioni. Semmai, alimentano le preoccupazioni sul fatto che l'offerta Usa, attraverso uno shale oil di nuovo competitivo, finirà per compensare le eventuali frenate alla produzione da parte dell'Opec.
Fonte: Il Giornale – Rodolfo Parietti (pag. 19)
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