C’è anche il colosso statale cinese Sinopec tra le vittime delle sempre più violente oscillazioni dei prezzi del petrolio. La notizia che il gruppo petrolchimico ha sospeso due dirigenti in seguito a perdite nel trading è emersa ieri, proprio mentre il mercato compiva l’ennesima inversione di rotta: dopo il balzo dell’8,7% a Santo Stefano, il Wti ieri ha di nuovo perso oltre il 3%, chiudendo sotto 45 dollari. Il prezzo del petrolio ormai sembra muoversi in modo irrazionale: l’ampiezza del crollo – quasi il 40% dai record di ottobre, quando il Brent volava sopra 85$ - non è giustificato dai fondamentali, soprattutto alla luce dei tagli produttivi di Opec e Russia, in vigore dalla prossima settimana. Dall’annuncio della decisione Plus il petrolio ha perso il 16%, una reazione che negli ultimi dieci anni non si era mai vista in circostanze analoghe. Il Ministro dell’Energia russo, Alexandr Novak, dà la colpa (anche) agli Stati Uniti: la volatilità, spiega, è figlia delle incertezze create “dalle guerre commerciali e dall’imprevedibilità dell’amministrazione Usa”. È tuttavia probabile che un ruolo importante ce l’abbiano anche gli algoritmi: quelli che guidano molti hedge funds, ma anche quelli che tengono in piedi le operazioni di hedging delle compagnie petrolifere, specie quelle dello shale oil. A suggerire questa chiave di lettura è Phil Verlager, noto analista indipendente, secondo cui tali operazioni effettuate con contratti derivati riguardano ben 500 milioni di barili di greggio al giorno.
Fonte: Il Sole 24 Ore – Sissi Bellomo (pag. 21)
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