L’Opec non è morta, come avevano sostenuto molti analisti. Ma di certo non ha recuperato la salute di un tempo, quando era un potentissimo cartello, capace di decidere le sorti del mercato petrolifero. Il balzo del prezzo del barile alla notizia del ritrovato consenso nell’Organizzazione non deve, infatti, trarre in inganno: quella di ieri è senza dubbio una grande vittoria, ma rimangono ancora due fattori che possono destabilizzare l’equilibrio raggiunto: il primo è lo shale oil. Negli Stati Uniti è emerso un nuovo genere di produttore di petrolio, che ha dimostrato di essere molto più resistente del previsto ai prezzi bassi e che tecnicamente è in grado di riaccelerare in tempi brevi le estrazioni a un’eventuale risalita del prezzo del barile. L’altro fattore con cui l’Opec deve fare i conti è la spinta, ormai ineludibile, verso il superamento dei combustibili fossili. Un mondo «carbon free» è ancora un traguardo lontano. Ma il consumo di petrolio nei paesi industrializzati ha già raggiunto un picco e anche le economie in via di sviluppo non riusciranno a sostenere per sempre ai ritmi attuali la crescita della domanda.
Fonte: Il Sole24Ore – Sissi Bellomo (pag. 8)
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