Dopo i minimi sotto i 30 dollari dello scorso gennaio, i prezzi del barile nelle ultime settimane sono stati in ripresa verso i 45 dollari e sono diversi gli elementi che fanno ritenere come più probabile un consolidamento del recupero. Il primo è che gli attuali valori sono ancora bassi, meno della metà dei 110 dollari su cui il mercato si era stabilizzato fra il 2011 e il 2014, tre anni di quotazioni piatte, molto alte, come mai si era visto in passato. Possibile che il mercato sia cambiato così tanto da allora? No. La domanda continua a crescere, non cala, e nel 2016 raggiungerà un nuovo massimo vicino a 96 milioni barili giorno, quasi 10 in più del 2008 quando molti davano come prossimi i 200 dollari. I veri problemi del mercato, all’origine del crollo, sono sul lato dell’offerta che costantemente ha superato la domanda di oltre 2 milioni di barili giorno. Nelle ultime settimane il rialzo è stato favorito da ammanchi di offerta in giro per il mondo che si stanno facendo più frequenti. L’ultimo riguarda il taglio della produzione del Canada di circa 1 milione barili giorno, causa incendi boschivi. Questo dovrebbe essere di breve durata, mentre invece preoccupanti sono i cali in Nigeria, dove la guerriglia ha ripreso ad attaccare causando un ammanco di 0,3 milioni. Vicino a noi, la Libia è praticamente fuori dal mercato da un anno e mezzo con un output inferiore di 1,1 mbg ai suoi livelli normali di 1,4. In Venezuela, il calo produttivo è limitato a 0,1 milioni, ma il collasso del paese non lascia presagire nulla di buono. Meno preoccupante è il calo della produzione Usa, scesa per la prima volta dal crollo dei prezzi sotto i 9 mbg; il trend dovrebbe arrivare a 8 milioni entro fine 2017. La resistenza delle compagnie Usa del fracking stupisce, ma prima o poi anche loro devono fare i conti: sono già 60 le società che hanno chiesto procedura fallimentare, numero vicino a quello di 15 anni fa quando scoppiò la bolla della dot economy. Chi detta sempre gli andamenti di fondo del mercato è Riad con il suo vicino-nemico Iran. Le distanze rimangono, ma c’è qualche segnale positivo. Fallito il vertice di Doha del 17 aprile, un passo di riavvicinamento lo si vedrà al vertice Opec del 2 giugno. I sauditi, prima di tagliare la produzione, oggi a 10,2 mbg, vogliono che altrettanto faccia l’Iran, ma Teheran prima deve tornare ai livelli pre sanzioni di 4 mbg; ora è a 3,4. Non aiutano i proclami dell’irrequieto e ambizioso principe saudita, Mohammed, figlio del re Salman, che il 25 aprile ha lanciato la sua visione di una Arabia Saudita libera dalla dipendenza da petrolio entro il 2030 (da notare che ieri è stato silurato il ministro del Petrolio, Ali al-Naimi) .
Fonte: Il Sole 24 Ore – Davide Tabarelli (pag. 5)
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