Una trasformazione profonda dell’azienda, «lanciata con sei mesi di anticipo rispetto al crollo del prezzo del greggio» che, nel 2014, unitamente al calo dei consumi di gas di Europa e alla contrazione della domanda di greggio nel Vecchio Continente, ha creato uno scenario particolarmente sfidante per tutto il comparto dell’oil&gas. Davanti alla commissione industria del Senato, l’ad di Eni, Claudio Descalzi, ha ripercorso ieri i suoi tre anni di mandato alla guida del gruppo, presente in 58 paesi e con 33.100 dipendenti diretti. «Dal 2014 a oggi ha esordito il ceo - l'azionariato di Eni è rimasto invariato per quanto riguarda la quota del 30,1% in mano a Mef e Cdp, mentre è il retail italiano. È rimasto costante la componente americana, scesa quella europea e aumentati alcuni istituzionali. La nota positiva, dunque, è che Eni è più italiana di tre anni fa: sia istituzionali che retail si sommano al 30% dello Stato, c’è una fiducia crescente nell’Eni in Italia». Fin qui la premessa, quindi, da cui Descalzi ha preso le mosse per ricostruire i pilastri della sua strategia che, da un lato, ha riguardato l’organizzazione interna («siamo passati da un assetto divisionale a business unit che riportano direttamente all’ad, dando vita a una società più snella e veloce»), con notevoli riverberi positivi sui costi generali e amministrativi («abbiamo conseguito un risparmio di 800 milioni su base annuale e strutturale») e, dall’altro, ha investito direttamente le attività del gruppo, con la rifocalizzazione sull’upstream, il settore chiave («per farlo andare ancora meglio») e la ristrutturazione degli altri segmenti (gas, raffinazione e chimica).
Fonte: Il Sole 24 Ore, Finanza e mercati – Celestina Dominelli (pag. 29)
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