Nel 2004 Snam, controllata da Cassa depositi e prestiti e azionista di Tap (il gasdotto che arriverà in Puglia), aveva progettato il metanodotto Rete Adriatica, dichiarando di voler vendere il gas in Europa. L’infrastruttura attraverserà l’Appennino centrale, passando per Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Oggi l’azienda spiega che l’infrastruttura servirà alla “copertura del fabbisogno energetico del Paese”, nonostante ad oggi il gas disponibile soddisfi già il consumo nazionale. A ribellarsi non è solo il Salento. Ma anche i Comuni dell’Appennino centrale, da dove passerà il gas azero una volta sbarcato in Puglia. Per procedere alla realizzazione, Snam ha frazionato il progetto. Il metanodotto è stato diviso in cinque tronconi, soggetti a Valutazioni di Impatto Ambientale (Via) parziali. Nel 2011 viene rilasciata quella del tratto Sulmona-Foligno con 67 prescrizioni. Segue il ricorso alla Commissione europea da parte di alcune associazioni che, considerando l’opera su scala nazionale, chiedono venga applicata la Valutazione ambientale strategica (Vas) a tutela degli habitat naturali. Ma Bruxelles lo respinge. La Regione Abruzzo prova a difendersi con quattro leggi, dichiarate però incostituzionali dalla Consulta. Permangono, tuttavia, le criticità. La più importante riguarda il rischio sismico. Proprio Sulmona, dove sorgerà la centrale di compressione, è oggetto di attenzione da parte dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Preoccupa anche il tipo di terreno, prevalentemente alluvionale.
Fonte: Il Fatto Quotidiano – Maria Cristina Fraddosio (pag. 15)
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